Diritto Nobiliare
CHI HA DIRITTO DI INSIGNIRE DI UN ORDINE, DI UN TITOLO NOBILIARE, DI UNA QUALIFICA, DI UN TRATTAMENTO, DI UNO STEMMA E DI UN MOTTO.
La conclusione che solamente una monarchia sovrana ha diritto di creare e insignire dei titoli nobiliari e degli ordini cavallereschi non è corretta perché non esaurisce la problematica.
Per meglio chiarire i termini della questione, è innanzitutto opportuno distinguere fra abdicazione, rinuncia al trono e debellatio.
Nel Diritto Pubblico Moderno, il concetto di abdicazione, mutuato dal diritto romano, ha conservato il senso di volontario abbandono dell’ufficio regio in forza di una manifestazione di volontà dello stesso monarca, la quale ha per effetto di aprire regolarmente la successione come in seguito a morte.
L’abdicazione è un atto di natura personale, che deve essere fatto solo per il Re e non per i suoi discendenti rispetto ai quali potrebbe essere efficace solo con la successiva approvazione da parte del Parlamento né può ammettersi che il Re abdichi in favore di persona diversa da quella chiamata immediatamente a succedere in virtù della costituzione. Dev’essere assoluta, non temporanea o revocabile, di modo che il Re abdicatario non possa essere nuovamente chiamato al trono se non in virtù di una legge che modifichi l’ordine naturale della successione. Infine, deve risultare da atto autentico, di modo che nessun dubbio rimanga sulla manifestazione esplicita e libera della volontà del Re, anche se non si ritiene necessaria all’uopo una legge, trattandosi di un atto personale del Re.
L’abdicazione, a propria volta, si distingue dalla rinuncia all’eredità del trono, che consiste nel rifiuto o non accettazione della corona al momento dell’apertura della successione ( per cui chi abdica è Re mentre chi rinuncia non è ma dovrebbe diventare tale ) e dalla debellatio, termine mutuato dal diritto internazionale ove indica il fenomeno corrispondente alla totale dissoluzione di uno Stato vinto, che, con riferimento a un sovrano o a un pretendente, consiste nella perdita della sovranità mediante un atto spontaneamente accettato con il quale essi rinunciano alle proprie funzioni e alle particolari prerogative connesse all’effettivo esercizio del potere. In mancanza di essa, compete al sovrano, in qualunque modo sia stato spodestato, la continuazione di alcune manifestazioni del potere regio, e sorge la figura del pretendente.
Con la debellatio, purché essa non sia imposta e sia liberamente effettuata, il sovrano e il pretendente rientrano nel novero dei privati cittadini, pur conservando i titoli sovrani con la qualifica di Altezza Reale. Senza la debellatio, invece, i titoli sovrani spettano al sovrano in quanto tale e ai suoi discendenti, e restano tali anche quando il sovrano abbia perduta la effettiva sovranità su di un territorio: titolare ne è sempre il primogenito e la sovranità ( sia pure priva del jus imperii, cioè della potestà di comando, del jus gladii, cioè del diritto all’obbedienza da parte dei sudditi, e del jus majestatis, cioè del diritto a ricevere difesa e onorificenza ) fa comunque parte del patrimonio della famiglia. In altre parole, un sovrano potrà sì essere privato del trono, e cioè essere spodestato, potrà anche essere bandito dal paese ma non potrà mai essere privato della sua qualità: in queste fattispecie, come detto, mancando la debellatio, ha origine il pretendente al trono, anch’esso internazionalmente riconosciuto.
Il pretendente abbandona il suolo patrio ma mantiene intatti quei diritti della sovranità al cui esercizio non è di ostacolo la sua mutata posizione giuridico-istituzionale e che può continuare a esercitare, mentre gli altri vengono sospesi: non c’è dubbio che fra i diritti che conserva integri sia compreso il jus honorum, cioè il diritto di conferire titoli nobiliari e gradi onorifici di ordini cavallereschi che facciano parte del patrimonio personale dinastico della famiglia. I sovrani che abbiano perduto il trono a seguito di regolare debellatio e i pretendenti che compiano regolare atto di rinuncia o che comunque contrastino con la volontà di conservare la figura di pretendente, conservano all’infinito la sola titolatura sovrana, senza i diritti inerenti; cessa altresì ogni diritto alla eventuale riassunzione al trono.
Prima di illustrare con esempi tratti dalla giurisprudenza italiana quanto esposto, è opportuno notare che le sentenze del Tribunale di Napoli che riconobbero in Antonio De Curtis – Gagliardi il discendente della dinastia Focas gli attribuirono, per ciò stesso, la qualità nativa di pretendente al trono dell’Impero Romano d’Oriente con il relativo trattamento di Altezza Imperiale, ossia: Sua Altezza Imperiale il Principe Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio De Curtis Gagliardi Antonio figlio adottivo del M.se Francesco Maria Gagliardi di Tertiveri e, con essa, tutte le prerogative dianzi citate, ivi comprese quelle di concedere titoli nobiliari e cavallereschi degli Ordini di pertinenza della propria Casa sovrana ( per inciso, pur non essendo stato possibile reperire presso l’Archivio del Tribunale di Napoli la sentenza 19-01-1787 della Gran Corte di Vicaria e il documento rilasciato dalla Consulta Araldica il 15-04-1941, non si può non osservare che essi rivestono attualmente solo un interesse meramente storico ed eventualmente genealogico, mentre dal punto di vista giuridico il loro contenuto è stato accertato per vero e considerato come probante: entrambe le sentenze “ Partenopee ” sono passate in giudicato, e tutto il materiale probatorio su cui sono fondate ne fa parte integrante e a esso si richiama e riallaccia ).
In particolare, spicca fra i suoi Ordini il Cesareo Militare Ordine di Costantino I Imperatore, Ordine nobilitante, la cui trasmissione nel novembre del 1948 al M.se Vittorio Spreti e più tardi ad altra persona da parte del legittimo titolare di tale patrimonio araldico – nobiliare-cavalleresco e di pretensione, comporta, altresì, il riconoscimento in capo al nuovo Gran Maestro delle relative prerogative.
Ciò è frutto anche della sentenza arbitrale dell’ 08-09-2003, resa esecutiva sul territorio della Repubblica italiana e degli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione Internazionale di New Jork del 10-06-1958, con decreto emesso in data 24-11-2003 dal Presidente del Tribunale Ordinario, che ha deciso che al sig. prof…….. Etc. etc. spettano, fra le altre, le qualità nobiliari di Conte di Arzano, Conte Palatino, Principe, Duca di Cappadocia, Altezza Serenissima e di Sovrano Gran Maestro del Cesareo Militare Ordine di Costantino I Imperatore con il nome dinastico di Nver I, con le prerogative sovrane connesse al jus majestatis e al jus honorum, con le relative facoltà di conferire titoli nobiliari, con o senza predicato, stemmi gentilizi, titoli onorifici e cavallereschi relativi a tale Ordine.
Stesse peculiarità si riscontrano nella Sentenza Arbitrale emessa il 27 marzo 2009 dalla Corte Arbitrale di Giustizia Nobiliare di Padova, cui il Presidente del Tribunale Civile e Penale di Padova, in funzione di giudice monocratico, a norma degli artt. 806 e seguenti del Codice di Procedure Civile, con decreto 3 dicembre 2009, n. 4/09 lodo arb., n. 3364/09 RNG, n. 2245/09 cron., n. 6724/09 REP., ha dichiarato esecutiva la sentenza nel territorio della Repubblica Italiana.
Inoltre, le sentenze appena citate riconoscono ai nuovi possidenti il patrimonio araldico-nobiliare-cavalleresco e di pretensione oltre la qualità di Soggetto di Diritto Internazionale Pubblico e di Gran Maestro di Ordini non nazionali, con diritto di legazione attiva e passiva a condizione di reciprocità con altri Soggetti di Diritto Internazionale Pubblico.
Non è da trascurare neppure il riconoscimento della possibilità di annotazione sull’atto di battesimo, secondo diritto o facoltà, della dizione/trattamento di Sua Altezza Serenissima, dei titoli nobiliari, delle qualifiche e di Principe Sovrano Gran Maestro dei pertinenti Ordini.
Quindi, la tesi iniziale che vorrebbe riservare le prerogative nobiliari e cavalleresche ai soli soggetti in possesso delle cinque caratteristiche elencate ( le quattro citate più il jus sanguinis ), pur trovando sostenitori in dottrina, è clamorosamente smentita dalla giurisprudenza di merito.
Infatti, e ad abundantiam, negli anni ’50, due sentenze della magistratura di merito e della Corte Suprema di Cassazione – relative alla Real Casa Normanna di Altavilla Sicilia Napoli – presero in esame in via principale il concetto di ordini equestri “ non nazionali ” e la disciplina delle onorificenze e del loro conferimento.
Per giungere alla formulazione della sentenza, e per ovvia completezza dottrinaria, la magistratura si trovò nella necessità di risalire agli antichi ordinamenti e muovere così dal Medioevo, quando, nel pieno vigore del sistema feudale e nel successivo suo frazionamento in monarchie autonome, il fenomeno giuridico, collegato prevalentemente a norme non del tutto e uniformemente statuali, veniva ad assumere una particolare fisionomia .
Con lodevole diligenza, la magistratura investita del caso ha ricostruito in maniera storicamente puntuale l’ingenerarsi della sovranità come elemento essenziale dello Stato quale persona giuridica; della sovranità del Principe e delle prerogative dinastiche; del status particolare di cui gode un Sovrano, anche se detronizzato, ma giuridicamente riconosciuto e tutelato dal diritto internazionale in cui necessariamente la figura si colloca; della pretendenza al trono e dei diritti del Principe Ereditario.
Singolare e meritevole l’impegno profuso dalla magistratura anche per la disamina di nozioni inquadrabili di fatto nella storia, ma sconosciute all’attuale ordinamento repubblicano , che ingenerosamente prevede che i titoli nobiliari ( qualifiche e prerogative annesse ), non soppressi, ma privati del loro valore giuridico e non quindi più soggetti di diritto pubblico, rimangono in vita solo quale reminiscenza storica e con quel valore sociale loro derivato dal perdurante costume .
Da rilevare che il pronunciamento ha potuto aver luogo solo collegando il particolare status del Sovrano, le sue prerogative e pretendenze, non tanto all’ordinamento repubblicano, che risulta indifferente all’uso del titolo nobiliare , quanto al diritto internazionale, in cui la figura del Sovrano, anche se spodestato e purché non debellato, necessariamente si colloca.
Sinteticamente riporto estrapolando dalle sentenze in oggetto, relativamente a quanto d’interesse del presente studio:
a ) “ … sul presupposto della piena legalità del conferimento di Ordini Cavallereschi, che traeva titolo e fondamento dal fatto che la Casa di Altavilla, mai debellata, aveva conservati l’jus maiestatis e l’jus honorum …. ”;
b ) “ … perché alla luce di documenti storici non controversi è risaputo che la Casa di Altavilla non venne mai debellata, ma al contrario affermò militarmente e politicamente la propria opposizione al subentrante dominio Svevo anzi dal totale annientamento della Dinastia dovuto alle persecuzioni sveve riuscì a sfuggire un ramo indiretto, che riparò nei suoi domini nel Cilento e di là tenne vive le rivendicazioni storiche e le riserve giuridiche sulla legalità delle successive Dinastie al potere nell’Italia meridionale ed in Sicilia ”;
c ) “ Quando un Sovrano viene estromesso dal dominio politico di un territorio, subisce la perdita dello esercizio dello Jus gladii e dello jus imperii, continuando però ad esercitare lo jus maiestatis e jus honorum, in virtù della fons honorum connaturata alla sua persona, come unici atti di giuridico esercizio di sovranità e senza alcun pregiudizio per lo Stato che lo ospita e del quale eventualmente abbia acquistato la cittadinanza ”;
d ) “ … con l’occasione la Magistratura romana ha ricalcato i concetti già conclamati dal Pretore di Roma con sentenza del 10.9.1948; dal Pretore di Sant’Agata in Puglie con sentenza 25.6.1955 nonché dal Tribunale Civile di Napoli con doppio giudicato del 30.11.1949 e del 26.7.1956 sulla legittimità genealogica del Principe d’Altavilla Sicilia-Napoli, erede, pretendente, nonché curatore del Trono Normanno delle Due Sicilie, al quale compete anagraficamente il trattamento di Altezza Reale trattandosi di “ Princeps Natus ” come risulta dalla rettifica effettuata sugli atti dello Stato Civile ”;
e ) “ Le prerogative sovrane, di natura personale, non abbisognano di ratifiche o riconoscimenti di sorta, per queste non è applicabile la disposizione XIV delle Norme Transitorie della Costituzione della Repubblica Italiana, che non riconosce i titoli nobiliari. E ciò in quanto tale norma vale solo per i titoli sorgenti da concessione, conferiti ai sudditi o cittadini di una nazione, ma non alle qualità sovrane, che nascono come diritto di sangue ”.
Naturalmente le due singolari sentenze, anche perché pronunciate in periodo repubblicano, destarono l’attenzione di più eminenti commentatori e giuristi ( come del Professor E. Furnò, che vide le sue fatiche pubblicate sulla Rivista Penale del 1961 con l’imprimatur del Professor E. Eula, primo Presidente della Corte di Cassazione, e del Professor F. Ungaro, storico e giurista insigne; nonché le riflessioni del Professor G.A. Pensavalle De Cristofaro dell’Ingegno, con monografia dal titolo “Questioni al vaglio della Magistratura ” ), dai quali, passim, riporto:
“ Il Sovrano, qualunque sia il titolo araldico, accentra sempre più in sé i poteri e tutte le prerogative: il comando politico “ jus imperii ”, quello civile e militare “ jus gladii ”, il diritto al rispetto ed agli onori del Rango “ jus maiestatis ”, ed infine il diritto di premiare con titoli nobiliari, decorazioni e privilegi “ jus honorum ”. Il Sovrano diventa pertanto “ fons honorum ” con potestà esclusiva, come conferma la così detta “delegazione” cioè la facoltà concessa a determinati fiduciari – es.: Conti Palatini Maggiori – di conferire distinzioni nobiliari ed equestri in nome del Sovrano. Come lo “ jus maiestatis ”, anche lo “ jus honorum ” s’impone quale prerogativa strettamente personale e non si confonde con l’ordinamento dello Stato, salvo alcune eccezioni, Repubbliche di Genova, Venezia, Amalfi. Ecco perché filosofi e giuristi hanno potuto affermare, che tale prerogativa segue la persona del Sovrano “ quasi infixa ossibus ” e che – al di fuori della “ debellatio ” cioè della totale e spontanea rinuncia – il Sovrano detronizzato, ancorché privo dello “ jus imperii ” e dello “ jus gladii ”, conserva lo “ Jus honorum ” così come lo “ jus maiestatis ” ossia il diritto di conferire titoli nobiliari ed onorificenze, appartenenti al suo patrimonio araldico, così come il diritto agli onori del suo rango e pretendenze ”.
a ) “ La “ sovranità ” è potere di autogovernarsi in piena indipendenza. È il supremo dei poteri e ne è la somma. Ricorda Renato De Francesco: “ Sovranità ” è parola che deriva dall’espressione latina “ suprema potestas ” corrottasi o trasformatasi nel Medioevo nell’altra “ supremitas ”, da cui son derivate le voci “ souverain ” in francese, “ soberano ” in spagnolo, e sovrano in italiano.
b ) La “ sovranità ” è elemento essenziale dello stato e costituisce un “ diritto unico, indivisibile ed inalienabile ”.
c ) “ Il rigore di questa teoria, che ribadiva gli antichi insegnamenti sui diritti sovrani del Principe, confermandone la natura personale, la perpetuità e la ereditarietà, si venne via via attenuando in quella del “ diritto di pretesa ” ( o pretenzione ), per cui il Principe, se spodestato, conserva la valida pretesa ad ottenere l’effettivo esercizio del potere sul territorio, del quale fu privato. Questo più pacato indirizzo trova ancor oggi consensi.
d ) “ Richiamandosi a scrittori recenti, quali Nasalli Rocca di Corneliano, G.B. Ugo, Bascapè, Gorino Causa, e Zeininger, scrive Renato de Francesco: “ La teoria del legittimismo, sfrondata delle estreme conseguenze alle quali l’hanno condotta alcuni suoi sostenitori, ed intesa invece come un diritto di pretesa, che nel Sovrano ex regnante resta, anzi inerisce in lui “ jure sanguinis ” e per diritto “ nativo ” in perpetuo, è perfettamente accettabile e soddisfa le esigenze dei giuristi e le coscienze dei popoli, anche in questo secolo dinamico ed eminentemente rappresentativo in campo politico ”.
e ) “ In campo internazionale la “ sovranità ” non risulta attribuita esclusivamente allo Stato, comunque concepito. Lo dimostrano significativi esempi, di cui il più illustre e convincente è quello offerto dal Romano Pontefice, Capo della Chiesa Cattolica. Ridurre la figura del Romano Pontefice a quella di Capo dello Stato Città del Vaticano, significherebbe non solo sminuirne, ma addirittura negarne l’esistenza. E sarebbe sostenere cosa inesatta proprio sul piano internazionale. Il Romano Pontefice, quale Capo della Chiesa Cattolica, ha la massima potestà sovrana insita proprio nella Sua persona; tanto è vero che, nella vacanza della Sede Apostolica, nessun soggetto subentra né poterebbe subentrare nel sommo potere che trapassa direttamente al successore del Pontefice per una continuità morale. In Questo caso – è evidente – che la “ sovranità ” inerisce alla persona fisica e la segue comunque, non essendo vincolata al territorio, che invece per lo Stato costituisce elemento essenziale. Ovunque sia, il Romano Pontefice è Sovrano nella pienezza di tutti i suoi poteri e tale è riconosciuto non solo da i molti milioni di fedeli, sparsi nel mondo, ma anche da molte e potenti potenze estere, come dimostra il periodo storico dal 1870 al 1929, durante il quale, pur avendo Egli perduto il territorio dello Stato, conservò intatto il Suo alto prestigio nelle relazioni internazionali. La stessa Italia, dopo l’annessione di Roma, ne riconobbe la particolare posizione con la Legge 13 maggio 1871, n. 214, detta “ delle Guarentigie ”.
f ) “ Il Pontefice prima del 1870 riuniva in sé la duplice qualità di Capo dello Stato Pontificio e di Capo della Chiesa Cattolica, venendo ad essere così l’organo di due specie di rapporti con gli Stati: rapporti di natura religiosa come Capo della Chiesa, e rapporti di natura giuridica e politica come Capo dello Stato Pontificio. Quindi nella Sua duplice qualità egli era fonte della Nobiltà da lui creata ”.
g ) “ Nel 1870 il Pontefice fu privato del potere temporale e solo nel 1871 gli furono resi dal Governo italiano nel territorio del Regno gli onori sovrani, mantenute le preminenze d’onore riconosciutegli dai Sovrani cattolici, concesse tutte le prerogative onorifiche della sovranità e tutte le immunità necessarie per l’adempimento del Suo Altissimo Ministero. Se non ché tra queste prerogative onorifiche, di una delle più rilevanti, perché integra uno dei più importanti attributi della Sovranità, quella di concedere titoli nobiliari e onorificenze cavalleresche, non venne fatta menzione nella legge, per cui sorse il problema se il Pontefice avesse, anche dopo la caduta del potere temporale, la facoltà di conferire titoli nobiliari.
h ) “ In proposito è bene ricordare che, anche prima del 1870, non sempre il Pontefice conferiva le onorificenze ed i titoli nobiliari nella sua qualità di Capo territoriale dei Suoi Stati, dato che anche quando faceva concessioni a stranieri, Egli agiva nella Sua qualità di Capo spirituale della Chiesa, e per ricompensare benemerenze verso la Chiesa ”.
i ) “ La posizione del Sovrano spodestato si porta necessariamente sul piano internazionale, perché soltanto qui trova la sua concreta giustificazione, storica e politica, i cui motivi non sempre coincidono con quelli della sua giustificazione astratta, filosofica. Ed il problema giuridico si risolve in via positiva più che filosofica, considerando più la realtà, storica e politica, che non le spinte ideali, pur avendo queste ultime indiscutibile valore. Ma la realtà storica, cioè l’attualità del fenomeno, è la forza prevalente nelle relazioni internazionali, poiché ne influenza l’aspetto giuridico con la sua massa di vitali interessi ”.
l ) “ La posizione del Sovrano spodestato trova tutt’ora sul piano internazionale elementi affermativi di non trascurabile importanza, perché concreti ed univoci. Il primo elemento è dato dal trattamento riservato al Sovrano ex regnante da parte dei Sovrani regnanti che ne accettano e rispettano le prerogative, portate dal diritto di nascita e di sangue. Il secondo elemento significativo proviene dall’atteggiamento degli Stati nei confronti delle Dinastie, da essi detronizzate. Di regola viene disposto l’allontanamento e vietato il ritorno del Sovrano ex regnante e dei suoi discendenti. E la possibile revoca di tale deliberazione richiede di massima la rinuncia al diritto di pretensione da parte del Sovrano spodestato. Tranne, si comprende, il caso di restaurazione. Con l’ordine di allontanamento e con il divieto di ritorno, imposti alla Famiglia ex regnante, lo Stato interessato, è vero, afferma la sua sovranità e nel contempo nega quella della Dinastia detronizzata, ma è anche vero che ne riconosce la pretesa. Se così non fosse, i provvedimenti presi dallo Stato non avrebbero senso. Né avrebbe senso subordinare alla rinuncia dei diritti di pretensione il ritorno in patria del Pretendente e della Famiglia. Sarebbe infatti assurdo chiedere la rinuncia ad un diritto inesistente ”.
“ L’allontanamento ed il divieto di ritorno, imposti alla famiglia ex regnante; la pacifica restaurazione della monarchia, voluta dallo Stato interessato; la concessione del ritorno in Patria, subordinata ai diritti di pretenzione, fanno sempre capo ad un atto giuridico, che, nel primo caso, è atto unilaterale di imperio, ma che, negli altri due, si risolve in un accordo di volontà fra due distinti, pari soggetti. La parità dei soggetti è posta in luce sia dall’indipendenza di ciascuno dei due rispetto all’altro sia dall’oggetto dell’accordo, che risolve il contrasto fra due pretese alla medesima sovranità. Contrasto, che, nel caso di restaurazione, si risolve a favore del pretendente, mentre, nel caso della rinuncia ai diritti di pretenzione ( compiuta debellatio ), si chiude a favore dello Stato ”.
“ Il patrimonio araldico dinastico, come già è stato posto in rilievo, sfugge all’ordinamento statuale, ancor quando il Sovrano è regnante, cioè Capo di Stato. A maggior ragione vi sfugge, quando il Sovrano non regna più e lo conserva, ovunque si trasferisca, esclusivamente per sé e suoi discendenti. Data la sua natura, non è pensabile che cada nella sfera di un qualunque ordinamento statuale o si trasferisca da un ordinamento all’altro, trasformandosi di volta in volta, a seconda del contenuto e dei limiti, portati da ciascuna cittadinanza; e che magari perisca per poi risorgere a seconda delle diverse legislazioni ”.
Commento:
A ) La magistratura, nell’ibrida commistione tra ordinamenti repubblicani e norme del passato regime araldico, necessariamente ha dovuto adattare i diritti e le successioni nobiliari adeguandoli alla normativa vigente. Ne risultano delle anomalie, anche se concettualmente e giuridicamente ineccepibili in relazione all’attuale ordinamento, che non troverebbero alcun riscontro, qualora inquadrate nell’Ordinamento dello Stato Nobiliare Italiano. Infatti, dalle pronunce si desume:
1 ) diritto, esteso a tutti i discendenti maschi e femmine, alla trasmissibilità di qualunque prerogativa, titolo, qualifica o predicato risultante legittimo e in capo all’intestatario – nei casi di specie nelle vesti prima di convenuto, indi di imputato – ( questo senza tener in alcun conto delle condizioni di trasmissibilità indicate nell’originaria concessione, breve o decreto, o delle modalità indicate nei provvedimenti di conferma. Senza tener conto, in contrasto con l’art. 40, della successione nei titoli prevista unicamente per l’agnazione maschile;
2 ) viene considerato valido quanto risultante allo stato civile, non più con valore di titolo o predicato ma come parte del cognome ( quando per legittimo veniva inteso quanto derivante da regie prerogative o previsto nell’ordinamento nobiliare e sanzionato dalla Regia Consulta o, quantomeno, frutto di decreto del Capo del Governo );
3 ) dichiarata preferenza, nella successione nei titoli, del grado sulla linea ( in contrasto con l’art. 54, che, nella successione dei collaterali, preferiva la linea sul grado );
4 ) possibilità di prova fornita per via giudiziaria della legittima detenzione di un titolo ( ipotesi esclusa dall’ordinamento );
5 ) diritto al Sovrano spodestato di concedere titoli, trasmissibile ai successori ( quando invece la prerogativa di fons honorum in ordine alla concessione di titoli persiste solo nel Sovrano spodestato, in quanto già regnante e con sua illimitata giurisdizione sul territorio ).
B ) La posizione particolare del Sovrano ex regnante, senza dubbio, è data dal fatto che mentre le Dinastie ex regnanti non rinunciano di regola, né intendono rinunciare, alle loro prerogative, gli Stati ove le Dinastie hanno esercitato le loro sovrane prerogative non possono vanificare la pretesa ( se non ottenendo un volontario abbandono del diritto, ovvero rendendo perfetta la debellatio ), la cui influenza resta, o può restare, dentro e fuori dei nuovi ordinamenti.
C ) Tutto ciò denota che il Sovrano spodestato conserva un ben preciso diritto, basato sull’ereditarietà, che in concreto si identifica, quanto meno, nella pretenzione al trono perduto, e che è ammesso non solo dai Sovrani regnanti ma anche dallo Stato d’origine. Al Sovrano spodestato viene quindi riconosciuta, quanto meno, la pretenzione al Trono perduto e la titolarità del patrimonio araldico di famiglia, che lo autorizza a conferire i relativi titoli nobiliari, onorificenze e distinzioni cavalleresche.
D ) Resta da aggiungere che tali diritti richiamano inevitabilmente il concetto di “ Sovranità ”, sia pure allo stato potenziale, secondo il principio formulato dall’attenuata teoria del legittimismo. Invero, essi costituiscono un autentico “ privilegio ”, il quale non potrebbe avere altra teorica causa di giustificazione al di fuori della “ Sovranità ” intesa come “ qualità personale del Principe ”. Pertanto, è possibile concludere che la magistratura italiana riconosce il jus honorum al Sovrano spodestato, senza che sia intervenuta la debellatio. Le sentenze civili di cui sopra risultano ispirate all’accettazione dei principi tradizionali dianzi richiamati. Si muove dalla nobiltà nativa – jure sanguinis -; si pongono in evidenza le note prerogative – jus majestatis e jus honorum –, per giungere all’affermazione che il titolare è soggetto di diritto internazionale, con tutte le logiche conseguenze. Il Sovrano spodestato cioè, può legittimamente conferire titoli nobiliari, con predicato o senza, e le onorificenze che rientrano nel suo patrimonio araldico.
E ) Resta Capo della sua Dinastia .
Concludendo, alla luce della corrente giurisprudenza italiana e degli orientamenti nelle due pronunce che hanno dato luogo alle riflessioni di cui sopra, ritengo si possa ragionevolmente affermare che:
L’Ordinamento dello Stato Nobiliare del Regno d’Italia risulta, nel rapporto con l’ordinamento giuridico attuale – al quale necessariamente risulta adeguato per effetto delle sentenze citate – stravolto.
Solo spostando l’attenzione sul piano del diritto internazionale è possibile qualificare quantomeno, correttamente e concretamente, la titolarità delle Sovrane Prerogative e del patrimonio araldico della Famiglia ex regnante spettanti, jure sanguinis, al Re spodestato. Indiscutibile anche, perché internazionalmente riconosciuto, il diritto di pretenzione al trono perduto da parte del Re spodestato, purché non anche debellato.
Lo Stato, nei limiti della sua influenza ( cioè del territorio nazionale ), può vietare al Sovrano spodestato l’esercizio di quel suo diritto, così come può paralizzare qualsiasi altro diritto non disciplinato dalla propria legislazione: ma questo atteggiamento negativo non influisce sull’esistenza del diritto contrastato, bensì soltanto sul suo esercizio. Lo Stato, infatti, non può sopprimere un diritto cui non ha dato vita e che, per giunta, trova accoglienza presso altre autorità di pari livello. Può soltanto vietarne l’ingresso nella propria sfera giuridica anche subordinando il divieto all’acquisto della cittadinanza da parte del titolare.
Peraltro, la cittadinanza del titolare non ha la capacità di assorbire un diritto, destinato a restar fuori da ogni ordinamento statuale, così che il divieto all’acquisto della semplice cittadinanza si rivela, nella sua intima essenza, come ulteriore mezzo di coercizione ai fini d’una rinuncia del titolare alle sue prerogative. E ciò, unitamente all’avocazione allo Stato dei beni familiari esistenti sul territorio nazionale.
Di norma, onde annientarne concretamente e internazionalmente il diritto, lo Stato subentrato subordina la revoca dell’atto d’allontanamento dal territorio dello Stato alla rinuncia della pretenzione ( perfezionamento della debellatio ) da parte del Sovrano spodestato o da parte della sua discendenza subentrata nel medesimo diritto.
È opportuno ricordare che la rinuncia alla pretenzione, per essere valida, non deve necessariamente essere sancita da atto scritto, ma, secondo consolidata giurisprudenza, acquista rilevanza giuridica anche se manifestata con un semplice atto di pubblico omaggio al capo dello Stato subentrato ( in quanto declaratoria di sottomissione e implicito riconoscimento di altra Sovranità, della quale, con tale atto, cessa la contestazione ).
Superfluo sottolineare che la rinuncia alla pretenzione da parte del Sovrano spodestato, in quanto ricompresa nella sfera dei diritti disponibili, proietterà i suoi effetti anche sulla futura discendenza.
Il Conte di Parigi, pretendente al trono di Francia, ha dovuto abdicare ai diritti di pretensione per essere autorizzato a risiedere in patria. Ciò gli è stato richiesto dalla Repubblica francese, che nel 1886 aveva allontanato la Famiglia già regnante.
Il ritorno in Austria del principe Ottone d’Asburgo, pretendente al Trono avito, si è consentito solo in quanto il Principe ha pubblicamente rinunciato ai suoi diritti di pretenzione. E anche l’Austria è costituita in Repubblica .
La Repubblica italiana, nata dal discusso referendum istituzionale del 2 giugno 1946, ha privato i membri e discendenti di quel ramo di Casa Savoia, già regnante, dei diritti elettorali, attivi e passivi; ha precluso i pubblici uffici; all’ex Re , alle consorti e discendenti maschi, sono stati vietati l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale.
Anche in questo caso, ammesso che il Principe Ereditario non fosse definitivamente già decaduto dalla successione per le inequivocabili manifestazioni di volontà del Capo della Casa, si è consentito il rientro in Italia solo a seguito di pubblica rinuncia ai suoi diritti di pretenzione come tra l’altro fatto da S.A.R il principe Vittorio Emanuele di Savoia – Carignano il quale nel 2002 furono pubblicate dichiarazioni in cui accettava la fine della monarchia e nello stesso anno, dopo l’abolizione dell’esilio, insieme con il figlio S.A.R il principe Emanuele Filiberto giurò per iscritto e senza condizioni fedeltà alla Costituzione repubblicana e al presidente della Repubblica, rinunciando in tal modo esplicitamente a qualunque pretesa dinastica sullo Stato italiano.
Si potrebbe continuare, disquisendo con altre decine di esempi (fra gli altri, S.A.R Ottaviano De Medici di Toscana, S.A.I. Marziano Lavarello, S.A.R. Don Francesco Paternò Castello di Carcaci, S.A.I. Amoroso d’Aragona, S.A.I. Paleologo di Bisanzio – Mastrogiovanni, Casa Normanna di Biancavilla, i Despotati di Nicea, di Etolia, di Acarnania, di Trebisonda, di Morea e di Bitinja, etc. etc. ).
Confido che codesto mio modesto contributo di un tempo storico dove molti illuminati assertori sono stati animatori delle materie de quo, con lo stesso animo non tralascio di rivendicare l’assunto e la fede della verità in salvezza delle memorie e a conforto delle speranze.
Predicati Italiani e Pontifici
Don Francesco Alfredo Maria Mariano duca d’Otranto e di Lipari
Presidente del Consiglio Araldico Italiano – Istituto M.se Vittorio Spreti